L’amore è la migliore ispirazione

Mi guarda con grandi occhi scuri, mentre tiene vicino a sé Aurora, nata alla 29esima settimana di gestazione, dopo due settimane di ricovero in ospedale, durante le quali lei aveva capito che “l’unico contributo che potevo darle era quello di stare il più ferma e il più serena possibile”.

Anna è una madre alla sua seconda esperienza, la sua prima bambina era nata a termine e pesava 4 kg.

Mai aveva sentito parlare di prematurita’ prima.

E quando quella mattina alla 27esima settimana di gestazione si sveglia piena di contrazioni, correndo in ospedale, pensa che sua figlia morirà.

Piange, Anna, nel ricordare quei momenti: la corsa all’ospedale, l’abbraccio con il marito, la convinzione che fosse troppo troppo presto, e la vita, no, non può sopravvivere quando è così tanto presto.

In ambulanza ripensa a tutti i segnali che il corpo le aveva dato prima di quel giorno, ai pensieri che avevano oscurato il messaggio di un pericolo in arrivo: devo lavorare, la casa deve essere pulita e ordinata, devo cucinare, devo seguire mia figlia, devo occuparmi di mio marito e della mia famiglia.

Non le ho voluto abbastanza bene…!

Faccio la psicologa perinatale, da più di un anno collaboro col reparto di Patologia Neonatale di Mirano e Dolo, dal 2005 con l’Associazione Pulcino.

Ho incontrato molti genitori che hanno avuto figli prima del tempo, ho ascoltato parole piene di rimpianti, dolore, fatica.

Lutti a volte non ancora superati, non perché quel bambino non sia sopravvissuto a quell’evento, ma perché l’impatto emotivo determinato dal trauma di una nascita pre-termine porta con sé un fardello a volte molto più pesante delle conseguenze dell’evento stesso.

“Non le ho voluto abbastanza bene. Avevo capito che avrei dovuto rallentare. Eppure non ci sono riuscita. L’ansia di fare tutto, di farlo bene, di riuscire a far sì che non mancasse nulla in casa, che fosse sempre perfetta, di occuparmi come prima delle cose. Non avevo capito. Nessuno mi aveva mai detto che i bambini potessero nascere così presto. Così ho pensato che sarebbe morta, quella mattina. Non smettevo di piangere. Io e mio marito l’abbiamo salutata nella pancia, perché pensavamo che nascendo non sarebbe sopravvissuta!”

L’angoscia di morte, il senso di colpa, la percezione dell’impotenza.

Anna abbassa gli occhi. Una lacrima bagna il suo volto, mentre guarda piena di speranza quel piccolo frugoletto di un chilo e mezzo che tiene nelle braccia.

La sua bambina ora sta bene.

È nella culla termica che cresce nel reparto di Patologia Neonatale di primo livello all’Ospedale di Dolo, dove nell’ultimo anno siamo tutti cresciuti nella cura alla relazione, dando la possibilità ai genitori di essere presenti con continuità ogni giorno e di tornare a casa dopo un periodo di dimissioni protette, anche offrendo l’opportunità di rimanere a dormire con i propri figli i giorni precedenti al rientro a casa.

Piccole, grandi soddisfazioni silenziose, cresciute giorno per giorno come i bambini prematuri che ogni giorno crescono da noi.

Anna legge un libro alla sua bambina, la cambia, le offre il suo latte, che porta in piccoli contenitori ogni giorno.

Sia lei che il marito fanno marsupio-terapia. Tutti sorridono perché Aurora apprezza molto “la marsupio” fatta da papà e quando la fa lui non c’è più bisogno dell’ossigeno.

“Lui è più bravo – mi dice Anna – anche con la prima era così.”

Normalità che fa capolino, man mano che la piccola cresce, e l’ombra di quello che sarebbe potuto succedere, si allontana.

Il papà in fondo ne è fiero.

“Anche io posso essere utile e importante, posso fare qualcosa per la mia bambina” pensa.

Cure centrate sulla famiglia, mani di madri e padri che toccano, che dicono: “ti voglio bene piccola, siamo qua. Sei nata prima, dovevi essere ancora nella pancia. Ma le mie mani sono pancia, la mia voce è casa. Ti parliamo da un vetro, vediamo ciò che non è stato previsto che noi vedessimo. Sei molto diversa da tua sorella, che succhiava prepotente dal seno e ci guardava vorace con gli occhi. Tu o mangi, o respiri, o guardi. Mai tutte insieme, le tre cose insieme. Sei ancora in un mondo lontano. Ci sentiamo così incapaci di proteggerti. Così inadeguati nell’accudirti. Infatti, vedi, ti abbiamo messo al mondo così presto, così presto. Tu, piena di fili, per respirare, per mangiare, per controllare il tuo piccolo cuore. Piccolo cuore che ora batte lontano da noi. Eppure sono qui che ti vedo e ti tocco. Sono qua, ti voglio bene piccola.”

La sorella maggiore ha visto Aurora attraverso il vetro che separa l’esterno dal reparto.

Si è alzata in punta di piedi per guardarla. Di certo non se l’era mai immaginata così la sua sorellina.

Non aveva mai visto una bambina così piccola. Più piccola delle sue bambole piccole.

A casa ha fatto dei disegni, di sé, della mamma del papà e di Aurora.

“Dovrò rifarli” – pensa – “È più piccola.”

Ripensa a quella mattina. La mamma e il papà spaventati. La portano dai nonni.

È troppo presto, pensano tutti.

Aspetta paziente che tornino. Ma torna solo il papà. La mamma deve stare in ospedale fino a quando nascerà la sorellina. Ma papà non sorride.

Tutti sono tristi, tesi, preoccupati.

La mamma non torna. Passa una settimana, non torna.

“Non riesco a dormire, mamma, senza di te” – le dice.

La mamma al telefono le canta una canzone.

“Ninna nanna, ninna o, la tua mamma è qua, tiene nella pancia tua sorellina fino a quando riesce. Più tempo riesce. Ma prima o poi tornerò, insieme alla tua sorellina, ti voglio bene piccola.”

No, non ti ho voluto abbastanza bene, piccola. Ma ora sono qua con te. Non mi muovo. Senso di colpa, senso di colpa anche per loro. Mia figlia sola con il papà. Io qui che devo stare ferma, che conto le ore, i minuti, i giorni. Ogni giorno è un mese, ogni settimana, un anno. Mi affido a tutte queste persone che ho attorno. Tutte queste persone che mi hanno accolto rassicurandomi.

«27 settimane, signora? Ma è grandissima. Noi qui, facciamo nascere a 26, 25, 24, qualche volta salviamo anche i 23.».

Numeri che si accavallano.

Sono nella stanza 8, letto 3, sono alla 27, 28, 29. Lei pesa 1 kilo, un kilo e 50, uno e 100. Ogni grammo conta. Sto ferma. Ascolto la musica. Mi rilasso. Ora il mio unico contributo può essere questo.

“E due giorni”, mi dice.

Aurora è nata a 29 settimane. E due giorni.

Le sorrido, accolgo la sua fierezza, che sa del tempo che ha valore ogni minuto che passa.

“Il parto è stato un lampo”, dice.

“I giorni successivi, i più lenti della vita.”

Ascolto, e mi commuovo. Mi commuovo sempre, anche se oramai sono tanti anni che faccio la psicologa, che ho il privilegio di ascoltare e accompagnare tanti genitori.

“Ripenso spesso alla mattina in cui la nostra piccola è stata portata a Dolo – mi racconta – io e mio marito non riuscivamo a suonare il campanello della patologia neonatale a causa delle lacrime e della paura. Non volevamo che il personale ci vedesse cosi. Che fosse questo il primo approccio. Poi ci siamo abbracciati e il campanello lo abbiamo suonato, siamo entrati con il fiato sospeso e …non dimenticherò mai il “comitato di accoglienza” che abbiamo trovato. Il primario, tu, la caposala, la rappresentante del pulcino, l’infermiera. Non dimenticherò la serenità che ci avete trasmesso. Siamo andati via con il sorriso e il sollievo di chi sa il proprio piccolo piccolo esserino al sicuro e in una struttura che pensa a tutta la famiglia.”

Come mai leggi alla tua bambina? Ti hanno spiegato che le fa bene?”, le chiedo.

“No, non me l’aveva detto nessuno. Ho solo pensato che potesse farle bene, visto che avrebbe dovuto essere ancora nella mia pancia e avrebbe dovuto sentire la mia voce.”

Le sorrido.

“Sì,sostiene lo sviluppo neurolinguistico,regola il battito cardiaco, migliora l’alimentazione, aumenta la resistenza al dolore, sostiene la relazione parentale.”

Mi guarda stupita.

“Davvero?”

“Sì, davvero.”

“Ti ho osservata, sei così presente, attenta. Come mai lo fai?”.

Ora mi guarda sicura, occhi scuri nei miei.

“Io amo i miei figli. L’amore è la migliore ispirazione.”

L’amore è la migliore ispirazione.

Penso mentre mi allontano, grata ancora una volta per quanto continuo ad imparare dai genitori.

Al di là delle parole, delle informazioni, delle formazioni. Al di là di tutto.

Le regalo a voi anche queste parole: è un regalo da parte di Anna.

L’amore è la migliore ispirazione.

 

Articolo a cura di Maria Isabella Robbiani