Il 17 novembre si celebra la giornata mondiale della prematurità, dedicata ai nati prematuri con l’obiettivo di informare e sensibilizzare sulla nascita pretermine, ovvero quella che avviene prima della trentasettesima settimana di gestazione.
Nel mondo ogni anno nascono prima del termine circa 15 milioni di bambini. Un gruppo di esperti a livello internazionale ha messo a punto il documento “Recommendations On Interventions To Improve Preterm Birth Outcomes” della WHO, Word Health Organization, che individua gli interventi da adottare per mamma e bebè nel caso di un parto prima del termine.[1]
Come ricorda l’OMS: “le complicazioni dovute a nascite pretermine sono la principale causa di morte tra i bambini sotto i cinque anni di età, responsabile di quasi un milione di morti nel 2013. Senza un trattamento adeguato, per i nati pretermine aumenta il rischio d’invalidità permanente e la scarsa qualità della vita”.[2]
In Italia nascono ogni anno 40.000 neonati prematuri. Per i prematuri con un peso alla nascita inferiore a 1500 grammi, Il tasso di mortalità è sceso da oltre il 70% negli anni ’60 a meno del 15% negli anni 2000, con una diminuzione sensibile anche fra i neonati sotto il kilogrammo.[3]
In occasione di questa giornata desidero raccontare la storia di due gemellini nati a sole 28 settimane di gestazione e della loro mamma, Carolyn, che da allora ogni anno regala al reparto di Neonatologia dell’Azienda Ospedaliera di Parma le copertine che serviranno ad avvolgere i bambini che muoiono nel reparto di Terapia Intensiva Neonatale.
“Una cosa ti chiedo – si illumina Carolyn -: da questo articolo deve uscire speranza. Perché oggi una mamma lo leggerà mentre starà vivendo quello che ho vissuto io, e deve sapere che si torna alla vita e si torna a ridere. Anche quando va male e un pezzo di cuore mancherà sempre». Inizia così l’articolo pubblicato pochi anni fa dalla Gazzetta di Parma, grazie ad una giornalista sensibile al tema della nascita prematura e del lutto perinatale.[4]
Carolyn è nata in Canada dove ha conosciuto, grazie agli studi in Fisiologia, il medico parmigiano che ha sposato seguendolo in Italia. Io l’ho incontrata ad ottobre del 2015, in occasione del Babyloss, la Giornata della Consapevolezza sul lutto perinatale, un’ occasione che ha permesso non solo a me ma anche ad altri genitori di conscere la sua storia e il suo impegno verso coloro che sono colpiti dalla perdita del bambino dopo la nascita trascorrendo, talvolta, anche lunghi periodi nel reparto di Terapia Intensiva Neonatale.
“Ho scoperto di essere incinta ad aprile del 2010. Sono stata male sin dall’inizio della gravidanza e poiché oltre a vomitare continuamente avevo abbondanti sanguinamenti, sono stata ricoverata per una settimana già alla fine del primo trimestre. Ho condiviso la stanza con una donna che aveva partorito tre gemelli prematuri. Oggi i tre gemelli stanno tutti bene. Nonostante fossi molto debole c’erano stati dei miglioramenti durante il ricovero e per questo motivo sono stata dimessa. Ma non è durata molto la mia permanenza a casa: durante una visita di controllo, alla ventesima settimana, il mio ginecologo mi ha spedita subito in ospedale! Il collo dell’utero si era accorciato tantissimo e il rischio di un parto imminente era elevatissimo.”
Carolyn e suo marito aspettano due gemelli. Nulla poteva insospettirli che quella pesantezza avvertita sull’utero potesse rappresentare una minaccia alla gravidanza. Ha gli occhi lucidi mentre racconta: “L’idea di avere qualcosa dentro di me che non andasse bene, di non avere un collo dell’utero che tenesse dentro i miei bambini, era devastante”. Il ricovero è stato immediato e Carolyn è stata costretta al riposo assoluto per due mesi, senza poter mai scendere dal letto. Al suo arrivo in ospedale il personale sanitario ha fatto di tutto per cercare di interrompere le contrazioni con la speranza di guadagnare qualche settimana. La situazione era resa ancora più grave dal fatto che uno dei due gemelli aveva un’unica arteria cordonale e presentava un ritardo di crescita.
In occasione del secondo ricovero, grazie all’intervento di un’ostetrica che ha valutato l’impatto psicologico della situazione, le è stata assegnata una stanza singola che si era appena liberata. “Questa stanza è diventata il mio nido: l’ho addobbata, nelle pareti c’erano un calendario, delle poesie, delle preghiere e persino i disegni che mi regalavano i figli dei miei amici. Durante il primo mese ho rifiutato il televisore, perchè non volevo distrazioni: dovevo concentrarmi e meditare. La situazione sembrava migliorare e anche il gemello più piccolo cresceva, nonostante ad un certo momento del ricovero la sua crescita nuovamente rallentava. E’ stato terribile essere informata che se fosse morto ci sarebbe stato il rischio d’infezione per la gemella. Però dopo una settimana il bimbo ha ricominciato a crescere e siamo riusciti a raggiungere il traguardo delle 28 settimane”.
Carolyn alle 21,30 del 24 ottobre fa appena in tempo ad accorgersi di aver rotto le acque che avverte subito una forte contrazione. “Da un momento all’altro mi hanno fatto raddrizzare per la prima volta dopo due mesi, una cosa terribilmente faticosa e dolorosa! Io ero scoagulata, assumevo l’eparina, e quando è arrivata un’infermiera del blocco operatorio per l’anestesia dal momento che i gemelli sarebbero nati con taglio cesareo, mi ha guardata negli occhi è mi ha detto: <<Non muoverti, è la tua chance!>>. C’era tantissimo personale in sala operatoria, anche due neonatologi e due rianimatori. La vedevano brutta ed erano pronti al peggio. A un certo punto è arrivato un uomo in camice da sala operatoria, con addosso la mascherina e la cuffia. Vedevo solo gli occhi di questa persona dai modi così gentili e che mi invitava a respirare. Ho chiesto chi fosse. Figurati la mia sorpresa quando mi hanno risposto che era mio marito! non lo avevo mai visto in tenuta da sala operatoria!”
Isabella ha pianto quando è nata, Carolyn ha sentito il suo pianto. Ma non dimenticherà mai il momento in cui è nato Brian: il non suono, il non rumore e la velocità con cui si muoveva il personale sanitario la informano della gravità della situazione. Mentre Isabella alla nascita presentava un Apgar 7 e pesava 1190 grammi, Brian pesava 620 grammi e un Apgar 4 ed è stato immediatamente intubato. Entrambi immediatamente trasferiti nel reparto di Neonatologia, in Terapia Intensiva Neonatale, Carolyn è riuscita a vederli solamente dopo tre giorni. Quando ha saputo che il marito aveva fotografato i due gemellini senza avere il coraggio di mostrare le foto alla neomamma, lo ha costretto a mostrargliele. “Quella sera, nel vederli in foto, ho pianto per la prima volta dopo due mesi. Mi sentivo in colpa perché non ero con loro. Sono stata informata che avrei dovuto assumere la posizione seduta, ma dopo due mesi distesa sul letto nel giro di poche ore ero stata raddrizzata, dovevo sedermi nonostante il dolore ma non volevano somministrarmi antidolorifici per farmi tirare il colostro. Dopo due mesi le mie gambe non camminavano, sono stata trasportata in sedia a rotelle fino alla TIN per vedere i miei figli. Dopo il parto ho iniziato a fare riabilitazione ma quando sono stata dimessa, alla fine di ottobre, non deambulavo ancora”.
E’ il 27 ottobre il giorno in cui per la prima volta Carolyn vede i suoi figli: sente di avercela fatta, gli dice che non li avrebbe mai più lasciati da soli perché loro hanno bisogno di lei, della sua presenza. Resta a guardarli per ore ogni giorno con la sensazione che se fosse stata lì in caso di emergenza avrebbe potuto proteggere i suoi figli.
Carolyn viene stimolata a tirare subito il colostro e poi a tirare il latte ma è molto faticoso per lei: “Che colostro viene? Non hai mai visto i tuoi figli, non li hai mai tenuti in braccio, hai male dovunque. In ogni caso ci ho provato, e anche dopo la dimissione andavo in reparto con quel poco latte che riuscivo a tirarmi.”.
C’è una stanza nel reparto di Neonatologia messa a disposizione delle mamme per tirare il latte. Una stanza dove sono nate grandi amicizie che Carolyn racconta con gioia, mamme che ancora oggi sono in contatto fra loro. Le mamme con i seni attaccati al tiralatte, mentre i bambini lottano contro la morte. Un giorno una sorpresa attende Carolyn al suo arrivo in TIN. Dopo averla fatta svestire per lavarsi con un disinfettante le hanno fatto indossare un camice sterile e la cuffia per fare la marsupio terapia con Isabella, che a causa del calo ponderale pesava 900 grammi.
“Mi è sembrata la cosa più bella del mondo. Era piccolissima ed io avevo il terrore di restare sola con lei. Siamo state insieme per mezz’ora circa, era una creatura particolare. Non riusciva a respirare da sola. Da quel giorno in poi sono riuscita a tenerla tutte le volte che andavo. Ma ero straziata dal dolore mentre guardavo il fratellino dentro l’incubatrice. Lui non potevo prenderlo in braccio”.
Le condizioni di Brian erano molto gravi, dopo un primo intervento subito dopo la nascita un altro era già stato programmato per delle complicazioni all’intestino. Ma Carolyn sentiva in cuor suo che non sarebbe sopravvissuto fino all’intervento e un giorno gli ha parlato: “Se vuoi andartene, vai. Io ti lascio andare. Io vorrei che tu rimanessi, ma non stare qua per me”. Io volevo liberarlo. L’intervento era programmato per il giorno dopo ma sapevo che non ci sarebbe stato e ho insistito perché mio marito si avvicinasse a lui perché desideravo fotografarli insieme. E’ l’unica foto che abbiamo di loro due così vicini. “Ora o mai più!” ho detto a mio marito che non aveva mai voluto toccarlo per paura delle infezioni. Siamo tornati a casa e quando di notte mi sono alzata per tirarmi il latte è squillato il telefono. Siamo corsi in ospedale, Brian è morto fra le mie braccia il 16 novembre del 2010″.
Perché regalare delle copertine ai genitori?
Carolyn racconta che il suo Brian era avvolto in un telo verde quando lo ha preso per la prima ed unica volta in braccio. Quel telo che odorava di ospedale ma anche del suo piccolo è stato gettato chissà dove mentre lei lo avrebbe volentieri tenuto con sé. Il desiderio di Carolyn è che ogni genitore che si trovi suo malgrado a vivere la stessa esperienza possa avvolgere il suo bebè in una copertina che potrà conservare. Da qualche anno insieme alle copertine Carolyn porta cuffiette e scarpine in lana baby confezionate artigianalmente da chi ha deciso di donare un pò del proprio tempo a questa causa. Carolyn ha trascorso davvero tanto tempo in Ospedale e ci tiene a informare le famiglie della sua esperienza positiva a livello umano: “All’Ospedale Maggiore di Parma hanno fatto per noi cose meravigliose, c’é tanta umanità e professionalità”.
Non solo copertine, cuffiette e scarpine ma anche Memory Box: Carolyn desidera diffondere la cultura di raccogliere nelle scatole i ricordi del bebè. E in occasione dell’ultimo Babyloss organizzato a Parma con l’Associazione CiaoLapo è stato possibile regalare le prime Memory Box al reparto di Ostetricia e Ginecologia e a quello di Neonatologia. Presto ne arriveranno delle altre, così come arriveranno altre copertine, altri cappellini e altre scarpine.
Carolyn tutto questo lo fa col cuore, quello di una mamma che ogni giorno saluta il suo Brian e che ogni sera, insieme a Isabella, sceglie fra le stelle del cielo la stella più bella da regalargli.
“Sarebbe bello che potessero essere dei genitori come noi, in ospedale, a testimoniare ad altri genitori che si sopravvive. E si torna a ridere.”
Articolo a cura di Erika Vitrano
[1] http://apps.who.int/iris/bitstream/10665/183037/1/9789241508988_eng.pdf?ua=1
[2] http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=2215
[3] http://www.ipasvi.it/attualita/giornata-mondiale-della-prematurit–ogni-anno-40mila-neonati-pretermine-id1634.htm
[4] http://www.gazzettadiparma.it/news/mamma/320610/-Carolyn-e-le-copertine-per.html