Il sostegno alla genitorialità

sostegno alla genitorialitàDefinire cosa sia il “sostegno alla genitorialità” è un compito complesso per il quale è necessario aver ben chiaro innanzitutto tre cose: cosa significhi e implichi il “sostegno”, cosa sia la “genitorialità” e infine cosa voglia dire occuparsi di “sostegno alla genitorialità”, ovvero quali siano gli obiettivi, quale il contesto e gli specifici aspetti.

Se poi collochiamo tale sostegno nell’ambito della disabilità è inoltre fondamentale conoscere anche gli elementi fisiologici, nonché psicologici che caratterizzano le condizioni e la situazione in cui si trovano le famiglie da “sostenere”.
È evidente dunque la complessità dei termini in cui si ascrive il sostegno alla genitorialità, perciò in primo luogo cercheremo brevemente di chiarire i termini di “sostegno” e di “genitorialità”.

Sostegno

Secondo Rogers (1961) il sostegno è

“un rapporto in cui almeno una delle parti si propone nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità e di migliorarne il comportamento e la capacità di affrontare la vita”,

ma approfondendo la relazione tra chi sostiene e chi è sostenuto è anche importante tenere conto di quello che afferma Brammer (1979), ovvero che

“il rapporto di sostegno è il veicolo principale per entrambi, chi lo fornisce e chi lo riceve, per esprimere i propri bisogni e soddisfarli, e affrontare i problemi dell’uno con la perizia dell’altro” (Gargiulo, 1987).

Perciò, quando ci si trova in una relazione di sostegno è importante sapere che non si sta assolvendo solo al bisogno dell’altro, ma anche a quello proprio, a prescindere che si stia nella posizione di chi sostiene o di chi è sostenuto.

Nel sostegno all’adulto, in particolare nel sostegno ad un genitore, è fondamentale rispettare il suo vissuto, la sua percezione delle cose, del mondo, ponendosi in un ruolo paritario, non giudicante e non normativo.

Genitorialità

Per quanto riguarda il significato del termine “genitorialità”, esso è, in questi ultimi anni, continuamente in evoluzione. Una prima concezione, che possiamo definire psicopedagogica per le sue applicazioni anche di tipo formativo, vede la genitorialità come il lungo e continuo apprendistato per imparare l’arte di essere genitori. Genitorialità è, in questa accezione, il processo dinamico attraverso il quale si impara a diventare genitori capaci di prendersi cura e di rispondere in modo sufficientemente adeguato ai bisogni dei figli; bisogni che sono estremamente diversi a seconda della fase evolutiva e del contesto in cui si inserisce.
Una concezione più psicologica vede invece la genitorialità come parte fondante della personalità di ogni persona. È uno spazio psicodinamico che inizia a formarsi nell’infanzia quando a poco a poco interiorizziamo i comportamenti, i messaggi verbali e non-verbali, le aspettative, i desideri, le fantasie dei nostri genitori. 

Il termine genitorialità quindi non coinvolge l’essere genitori reali ma è uno spazio psicodinamico autonomo che fa parte dello sviluppo di ogni persona.

Ovviamente, l’evento reale della nascita di un figlio attiva in un modo particolare e molto intenso questo spazio mentale e relazionale, rimettendo in circolo tutta una serie di pensieri e fantasie legati in particolare al proprio essere stati figli, alle modalità relazionali ritenute più idonee, ai modelli comportamentali da avere (Visentini, 2004).

Sostenere la genitorialità

Il prendersi cura di qualcuno è uno degli stadi fondamentali della crescita umana. Sostenere la “genitorialità”, sostenere dei genitori significa dunque innanzitutto “prendersi cura” di chi si prende cura ed è perciò molto importante essere di esempio proponendo una modalità positiva di’“aver cura”, che tenga profondamente conto dell’altro, dei suoi bisogni e desideri, che lasci spazio anche di sbagliare, senza mai sostituirsi all’altra persona.
Sostiene Heiddegger:

“I modi positivi dell’aver cura hanno due possibilità estreme. L’aver cura può in certo modo sollevare gli altri dalla “cura” sostituendosi loro nel prendersi cura, intromettendosi al loro posto. Questo aver cura assume, per conto dell’altro, il prendersi cura che gli appartiene in proprio. Gli altri risultano allora espulsi dal loro posto, retrocessi, per ricevere, a cose fatte e da altri, già pronto e disponibile ciò di cui si prendevano cura, risultandone del tutto sgravati.(…) Opposta a questa è quella possibilità di aver cura che, anziché porsi al posto degli altri, li presuppone nel loro poter essere esistentivo, non già per sottrarre loro cura, ma per inserirli autenticamente in essa. Questa forma di aver cura, che riguarda essenzialmente la cura autentica, cioè l’esistenza degli altri e non qualcosa di cui essi si prendano cura, aiuta gli altri a divenire consapevoli e liberi per la propria cura”.

Questa seconda modalità restituisce all’altro stima, fiducia, rispetto per quello che è ed è in grado di essere, fornendo un esempio di cura che non prende il posto dell’altra persona, ma la sostiene autenticamente nel suo compito di cura. Tale concetto è tanto più importante quando si tratta di genitori di diversabili, che si trovano ad affrontare quotidianamente un compito di cura gravoso, ma che come gli altri genitori devono anche pensare a rendere capaci i propri figli di autonomia e di libertà di crescita, nel rispetto naturalmente dei limiti imposti dalla natura.

Per concludere, possiamo ricordare una frase di Bettelheim:

“Una famiglia può essere definita felice se, quando le cose vanno male per uno dei suoi membri, tutti gli altri lo sostengono e fanno dei suoi problemi il problema di tutti”.

M. Isabella Robbiani

Bibliografia

Bettelheim B. Un genitore quasi perfetto. Feltrinelli, Milano, 1987.
Brammer L. The helpingrelationship: Process and skills. EnglewoodCliffs, 1979.
Gargiulo RM. Lavorare con i genitori di bambini handiccappati. Guida per gli operatori di sostegno., Zanichelli, 1987.
Heiddeger M. Essere e tempo. 1976.
Rogers C. On becoming a person. HougtonMifflin, 1961.
Visentini G. www.genitorialita.it